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Oggi appare impossibile.
Me ne rendo ben conto. Eppure una presidenza come quella di Barack Obama è impegnata proprio in questa difficile arte di persuadere una nazione di quanto sia necessario allungare i tempi per uscire dalla crisi e per avere risultati durevoli. I sondaggi per ora lo confortano.
Il voto di domenica sembra dimostrare che in Europa ritrovano forza i gruppi nazionalistici o addirittura anti-europei. C'è il rischio di arroccamenti o di nuovi nazionalismi.
Purtroppo l'arroccamento è già in atto. Se è vero che l'ipocrisia è l'omaggio che il vizio rende alla virtù, il fatto che ne vediamo molta in questi giorni nelle partite che riguardano banche e auto, i due settori finora più colpiti dalla crisi, ci dà la misura del vizio sottostante. Più si moltiplicano le dichiarazioni retoriche sulla cooperazione europea, meno c'è coesione europea.
Dunque un'Europa più piccola?
Credo che l'Europa sia su un crinale. È tirata da due forze opposte: quelle che vogliono aumentare la dose di unione e quelle che puntano alla rinazionalizzazione delle economie e delle politiche. La partita è aperta, anche se ora prevalgono le spinte disgregatrici. Sono convinto che la crisi porterà a un'Europa diversa da com'è ora, perché essa è troppo forte per lo stato attuale di semi-integrazione.
E l'Europa politica?
Quello che si poteva fare per l'unificazione che non fosse politico è stato fatto: ma fare un'Europa politica avrebbe un effetto economico formidabile e certo aiuterebbe anche ad uscire dalla crisi, perché consentirebbe di governare la politica economica in modo congiunto nuovo e unitario. Basterebbe riconoscere in un bilancio comune ciò che già è europeo (alcune infrastrutture, parte dell'energia, parte della difesa). In fin dei conti, il bilancio federale Usa all'inizio del XX secolo, cento anni dopo la nascita della Federazione americana, era pari a circa il 5% del Pil Usa. Bisognerebbe che anche i poteri nazionali accettassero la logica espressa in questi giorni da John Elkann, azionista di maggioranza della Fiat: accettare di diventare più piccoli in una realtà più grande. L'Europa che immagino è esattamente questo.